SOMMARIO
1) Premessa; 2) Normativa di riferimento; 3) Esito; 4) La vicenda; 5) La decisione del Consiglio Nazionale Forense
1. PREMESSA
La sentenza n. 142/2021 emessa dal Consiglio Nazionale Forense stabilisce come la mancata autorizzazione espressa da parte dell’ex cliente comporta l’obbligo deontologico di astensione da parte del professionista, pena la sanzione della sospensione.
2. NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Artt. 68, co. IV et 9 NCDF
3. ESITO
Accoglimento in parte qua del primo ricorso; Inammissibilità del secondo ricorso.
4. LA VICENDA
Due avvocati che avevano assistito unitamente la moglie in una causa di separazione consensuale omologata dal Tribunale di Treviso con decreto del 17.3.2009, avevano assunto, successivamente, la difesa di quest’ultima in una serie di giudizi nei confronti del marito e di alcuni suoi parenti.
In particolare, i due professionisti avevano:
a) promosso atti prodromici e successivi diretti al recupero delle somme dovute a seguito di inadempimento da parte del marito in relazione gli obblighi economici stabiliti in sede di separazione;
b) resistito in giudizio, sempre per conto della moglie, promossa dal marito avanti il Tribunale di Treviso avente ad oggetto la modifica delle condizioni di separazione;
c) Depositato un ricorso ex art. 148 c.c. avanti il Tribunale di Treviso, per conto della moglie, nei confronti dei genitori del marito.
A seguito della predetta attività, il marito aveva presentato esposto presso il COA di Treviso, il quale deliberava per l’apertura di un procedimento nei confronti dei due avvocati per violazione dell’art. 5 – doveri di probità, dignità e decoro) e dell’art. 51, co. I – assunzione di incarichi contro ex clienti – del vecchio codice deontologico.
Il primo avvocato si difendeva precisando, pur essendo in mandato disgiunto per tutti i procedimenti di cui sopra con l’altro collega, come questo non avesse mai assistito i coniugi in sede di separazione consensuale né la moglie nelle varie vertenze promosse contro il marito successive alla separazione, non sottoscrivendo alcun atto.
Inoltre, precisava come si fosse limitata, in sede di separazione, a trasfondere nel ricorso gli accori presi dalle parti e che pertanto non poteva essere definita quale “controversia” e che, comunque, nel mandato conferito in sede di separazione era prevista la rappresentanza delle parti in altri procedimenti connessi, compreso quello di esecuzione; infine sottolineando vieppiù come, in relazione al procedimento incardinato mediante ricorso ex art. 148 c.c., esso era diretto contro i genitori del marito e quindi come non vi fosse alcun dovere di astensione.
A seguito delle modifiche intervenute ex L. 247/2012 e dei connessi regolamenti attuativi, il procedimento disciplinare veniva trasferito al Consiglio di Disciplina Veneto che, a seguito di nuova istruttoria, confermava la decisione del COA di Treviso nei confronti dei due avvocati per cui proponeva il capo di incolpazione per violazione degli artt. 68 c. IV NCDF (già art. 51 CDF) e 9 NCDF (già art. 5 CDF).
All’udienza dibattimentale il primo avvocato eccepiva preliminarmente la intervenuta prescrizione in relazione all’invio della diffida contenente la richiesta di pagamento al marito per asserito inadempimento di somme di denaro dovute in base agli accordi di separazione, ribadendo l’estraneità del collega di qualsiasi attività professionale nei confronti del marito.
Il marito precisava, tuttavia, che per la separazione consensuale, aveva avuto contatti preliminarmente con il primo avvocato comunque incontrando in studio, in due occasioni, il secondo avvocato, presentato dal primo, come collega associato.
Ad esito, il Consiglio di Disciplina, reputava sanzionabili le condotte dei due professionisti, comunque operando una distinzione:
a) Il secondo avvocato, pur svolgendo attività in associazione con il primo avvocato, non aveva sottoscritto il ricorso per separazione, né sottoscritto gli atti successivi posti in essere dal collega nell’interesse della moglie, emergendo come lo stesso si fosse limitato ad incontrare solo in due occasioni la moglie e il marito quando questi si recavano dal primo avvocato, ritenendo sì sussistere una violazione deontologica, ma “lieve e scusabile”, comminando allo stesso un semplice richiamo verbale;
b) Di contro, il primo avvocato, a seguito di rigetto di tutte le eccezioni rassegnate, veniva sospesa dall’esercizio della professione per la durata di tre mesi.
Entrambi i professionisti impugnavano il suddetto provvedimento avanti il Consiglio Nazionale Forense, lamentando l’insussistenza di un illecito deontologico o comunque una particolare tenuità dei fatti, tale da consentire di ridimensionare la sanzione loro irrogata.
In particolare, osservavano come i coniugi avessero già raggiunto in autonomia gli accordi formalizzati in separazione, per cui gli avvocati avrebbero assolto un’attività di carattere sostanzialmente notarile, limitandosi a recepire la mera volontà delle parti.
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
Secondo il CNF, il ricorso così presentato dal secondo avvocato è da ritenersi inammissibile, confermando così la sanzione irrogata dal CDD Veneto; mentre per quanto attiene quello presentato dal primo avvocato è da accogliersi in parte qua.
Invero, le ragioni spiegate in motivazione dal Consiglio di Disciplina Veneto appaiono del tutto condivisibili, operando una valutazione della condotta osservata nell’occasione dal primo avvocato, così come altrettanto equa appare la sanzione a questa irrogata.
Su tale aspetto, il Consiglio, con la sentenza n. 123/2018, aveva già precisato e ribadito il divieto per l’avvocato di assumere l’incarico nei confronti dell’ex cliente sia in sede stragiudiziale che giudiziale con un limite temporale di due anni dalla cessazione del rapporto professionale: di tale vincolo, l’avvocato può essere sciolto solo mediante autorizzazione espressa dell’ex cliente.
Le censure mosse dalla ricorrente sono risultate, pertanto, irrilevanti, in quanto:
1) La condotta risulta documentalmente provata e poco importa che fossero stati raggiunti in separata sede;
2) Integra gli estremi dell’illecito deontologico a prescindere dalla natura giurisdizionale o meno dell’attività spiegata dal professionista;
3) La conoscenza del marito relativa al fatto che il primo avvocato sarebbe rimasta l’avvocato della sua ex moglie, non implica necessariamente che il marito lo avesse espressamente esonerato dagli obblighi di cui era deontologicamente tenuto ad osservare;
4) Infine, è del tutto irrilevante che gli incarichi successivamente assunti non utilizzassero notizie o conoscenze attinte dall’espletamento del precedente mandato.
Tuttavia, la ricorrente evidenziava come non fosse mai stata sottoposta, prima d’ora, a procedimenti disciplinari e avesse assolto all’informativa resa al cliente anche prima dell’assunzione dell’incarico, nonché fosse priva di pregiudizio non avendo acquisito alcuna notizia riservata non a conoscenza della moglie.
Per i motivi sopra esposti, il CNF si limitava a ridurre la misura della sanzione della sospensione da tre e due mesi.